Domenica di Pasqua – Giovanni 20, 1-9

1Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro. 2Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!». 3Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. 4Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. 5Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò. 6Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, 7e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte. 8Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. 9Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti.

Pasqua ci viene incontro con un intrecciarsi armonioso di segni cosmici: primavera, plenilunio, primo giorno della settimana, prima ora del giorno. Una cornice di inizi, di cominciamenti: inizia una settimana nuova (biblica unità di misura del tempo), inizia il giorno, il sole è nuovo, la luce è nuova.

Il primo giorno, al mattino presto, esse si recarono al sepolcro. Luca si è dimenticato il soggetto, ma non occorre che ci dica chi sono, lo sanno tutti che sono loro, le donne, le stesse che il venerdì non sono arretrate di un millimetro dal piccolo perimetro attorno alla croce. Quelle cui si è fermato il cuore quando hanno udito fermarsi il battito del cuore di Dio. Quelle che nel grande sabato, cerniera temporale tra il venerdì della fine e la prima domenica della storia, cucitura tra la morte e il parto della vita, hanno preparato oli aromatici per contrastare, come possono, la morte, per toccare e accarezzare ancora le piaghe del crocifisso. Le donne di Luca sono una trinità al femminile (R. Virgili): vanno a portare al Signore la loro presenza e la loro cura. Presenza: l’altro nome dell’amore.

Davanti alla tomba vuota, davanti al corpo assente, è necessaria una nuova annunciazione, angeli vestiti di lampi: perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui. È risorto. Una cascata di bellezza. Il nome prima di tutto: “il Vivente”, non semplicemente uno fra gli altri viventi, ma Colui che è la pienezza dell’azione di vivere. E poi: “non è qui”! Lui c’è, ma non qui; è vivo e non può stare fra le cose morte; è dovunque, ma non qui. Il Vangelo è infinito proprio perché non termina con una conclusione, ma con una ripartenza.

Pasqua vuol dire passaggio: abbiamo un Dio passatore di frontiere, un Dio migratore. Non è festa per residenti o per stanziali, ma per migratori, per chi inventa sentieri che fanno ripartire e scollinare oltre il nostro io.

Ed esse si ricordarono delle sue parole. Le donne credono, perché ricordano. Credono senza vedere; per la parola di Gesù, non per quella degli angeli; ricordano le sue parole perché le amano. In noi resta vivo solo ciò che ci sta a cuore: vive ciò che è amato, vive a lungo ciò che è molto amato, vive per sempre ciò che vale più della vita stessa. Anche per me, credere comincia con l’amore della Parola, di un Uomo. Quello che occorre è un uomo un passo sicuro e tanto salda la mano che porge, che tutti possano afferrarla (C. Bettocchi).

Quello che occorre è l’umanità di Dio, che non se ne sta lontano, me entra nel nostro panico, nel nostro vuoto, visita il sepolcro, ci prende per mano e ci trascina fuori. E fuori è primavera.

Ecco il cuore di Pasqua: il bene è più profondo del male. (E. Ronchi)

 

Gli auguri pasquali del Rettor Maggiore

Gli auguri pasquali che il Rettor Maggiore Don Ángel Fernández Artime è solito inviare, quest’anno, oltre al contenuto augurante ad ognuno Pace, Gioia e Speranza nel Cristo Risorto, si caratterizzano per essere stati stampati dall’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato di Roma. Si tratta di un foglietto erinnofilo da collezione, tirato in mille copie, raffigurante in serigrafia l’esterno della Casa Museo Don Bosco di Valdocco (Torino) e cinque chiudilettera raffiguranti pezzi “speciali” dello stesso museo.

Gli auguri poi sono stati stampati su carta pergamena con rappresentata una immagine del fondatore dei Salesiani stile anni ‘30. Il foglietto è opera della dottoressa Maria Carmela Perrini che già nel 1988 ha raffigurato il francobollo vaticano dedicato all’anno centenario della morte di Don Bosco

Messaggio del vescovo Piero per la Pasqua di risurrezione 2022

La pace dono di Dio da accogliere e da costruire

Quest’anno arriviamo a Pasqua con meno restrizioni per la pandemia seppur con grande prudenza. Ma ci ritroviamo preoccupati e increduli per tutto ciò che sta capitando nell’est dell’Europa con la guerra in corso. Perché tanto odio e tanto sangue che scorre su tutti i fronti? Eppure non è l’unico conflitto armato nel mondo; pare vi siano altre trenta guerre.
Dai Vangeli cogliamo l’annuncio del Pasqua e, nel linguaggio delle apparizioni, il Risorto esordisce sempre con l’augurio “Pace a voi!”. Sono parole che vogliamo scolpire in noi e non cessare mai di pregare per la Pace. Sono convinto che, seppur essenziale, non è l’unica cosa che possiamo fare.
Costruiamo pace nella Chiesa: ci possono essere sensibilità diverse, ma facciamo parte dell’unico corpo voluto dal Signore.
Costruiamo pace nell’ambiente sociale in cui siamo inseriti. Non possiamo esimerci dal lavorare in rete con tante realtà che cercano il bene comune.
Costruiamo pace nelle nostre case. Spesso vi sono divisioni che hanno origine nell’uso delle cose o nella spartizione di eredità. Il dialogo è sempre necessario affinchè si guardi nella stessa direzione. Sempre il dialogo porta al perdono.
Costruiamo pace nell’educazione dei nostri bimbi. Non permettiamo che giochino alla guerra o con strumenti elettronici che simulano scontri armati e uccisioni.
Costruiamo pace nei nostri cuori mettendo da parte rancori e invidie. A volte si tratta di fare il primo passo verso la distensione con chi ci ha offesi o ha avuto qualcosa contro di noi.
Costruiamo pace accogliendo coloro che sono fuggiti da situazioni terribili segnate da mancanza di sicurezza. È bello constatare iniziative diverse nell’accogliere ucraini che hanno dovuto lasciare tutto. Non ci sono solo loro: tanti altri nostri fratelli di svariate nazionalità ci chiedono la stessa cosa.
L’augurio di “Buona Pasqua” è autentico se siamo capaci di dipingere la nostra vita con i colori della fraternità, della riconciliazione, della speranza e dell’amore.
Buona Pasqua a tutti.

Cuneo – Fossano, 10 aprile 2022

+ Piero Delbosco vescovo

Messaggio di Pasqua 2022 di mons. Piero Delbosco

 

Messaggio del Rettor Maggiore

in occasione della comunicazione che il Beato Artemide Zatti sarà proclamato santo

É una Pasqua speciale quella che ci apprestiamo a vivere. Abbiamo accolto con immensa gioia il grande dono della notizia che il Sommo Pontefice ha autorizzato la Congregazione delle Cause dei Santi a promulgare il Decreto riguardante il miracolo attribuito all’intercessione del Beato Artemide Zatti, Laico Professo della Società Salesiana di San Giovanni Bosco; nato il 12 ottobre 1880 a Boretto (Italia) e morto il 15 marzo 1951 a Viedma (Argentina). Con questo atto del Santo Padre si apre la via alla Canonizzazione del Beato Artemide Zatti.

Siamo profondamente grati a Dio e al Santo Padre Francesco. Nella Famiglia Salesiana, nella Chiesa Argentina, in particolare la diocesi di Viedma, e in Italia a Boretto, suo paese natale, e nella Diocesi di Reggio Emila c’è oggi una atmosfera di grande entusiasmo.

1. Testimone di speranza 

Questa notizia, nella luce della Pasqua del Signore, è un messaggio e un seme di speranza per il tempo drammatico che stiamo vivendo segnato dalla pandemia e soprattutto da tante guerre, in particolare quella in Ucraina, che portano morte, dolore e distruzione. Artemide Zatti ci incoraggia a vivere la speranza come virtù e come atteggiamento di vita in Dio. Il cammino verso la santità richiede molto spesso un cambio di valori e di visione. Questo è stato il cammino vissuto da Artemide che nelle prove della vita ha scoperto nella Croce la grande opportunità di rinascere a una nuova vita: 

  • quando da ragazzo nei duri e faticosi lavori di campagna, impara subito ad affrontare le fatiche e le responsabilità che lo avrebbero sempre accompagnato negli anni della maturità;
  • quando con la sua famiglia lascia il proprio paese, Boretto in Italia, in cerca di maggior fortuna. L’emigrazione verso l’Argentina, quando Artemide ha 15 anni, è una conseguenza necessaria della povertà della famiglia;
  • quando giovane aspirante alla vita salesiana è colpito da tubercolosi, contagiato da un giovane sacerdote che stava aiutando proprio perché molto malato. Il giovane Zatti sperimenta nella propria carne il dramma della malattia, non solo come fragilità e sofferenza del corpo, ma anche come un qualcosa che tocca il cuore, che genera paure e moltiplica interrogativi, facendo emergere con preponderanza la domanda di senso per tutto quello che succede e quale futuro gli si para davanti, vedendo che ciò che sognava e a cui anelava d’improvviso viene meno. Nella fede si rivolge a Dio ricerca un nuovo significato e una nuova direzione all’esistenza, a cui non trova né subito, né facilmente una risposta. Grazie alla presenza saggia e incoraggiante del padre Cavalli e del padre Garrone e leggendo in spirito di discernimento e di obbedienza le circostanze della vita, matura la vocazione salesiana come fratello coadiutore dedicando tutta la vita alla cura materiale e spirituale degli ammalati e all’assistenza ai poveri e ai bisognosi. Decide di restare con Don Bosco, vivendo in pienezza l’originale vocazione del “coadiutore”;
  • quando deve affrontare prove, sacrifici e debiti per portare avanti la missione a favore dei poveri e degli ammalati gestendo l’ospedale e la farmacia, confidando sempre nell’aiuto della Provvidenza;
  • quando vede demolire l’ospedale a cui aveva dedicato tante energie e risorse, per costruirne un nuovo;
  • quando nel 1950 cadde da una scala e si manifestarono i sintomi di un tumore, da lui stesso lucidamente diagnosticato, che lo avrebbe portato alla morte, avvenuta il 15 marzo 1951: continuò tuttavia ad attendere alla missione alla quale si era consacrato, accettando le sofferenze di questo ultimo tratto della vita.

2. Amico dei poveri 

Artemide Zatti ha consacrato la sua vita a Dio nel servizio ai malati, ai poveri. Responsabile dell’ospedale San José in Viedma, allarga la cerchia dei suoi assistiti raggiungendo, con la sua inseparabile bicicletta, tutti i malati della città, specialmente i più poveri. Amministra tanto denaro, ma la sua vita è poverissima: per il viaggio in Italia in occasione della canonizzazione di don Bosco gli si dovettero prestare vestito, cappello e valigia. Amato e stimato dagli ammalati; amato e stimato dai medici che gli danno la massima fiducia, e si arrendono all’ascendente che scaturisce dalla sua santità: “Quando sto con Zatti, non posso fare a meno di credere in Dio”, esclama un giorno un medico che si proclamava ateo. Il segreto di tanto ascendente? Eccolo: per lui ogni ammalato era Gesù in persona. Alla lettera! Da parte dei superiori fu raccomandato un giorno di non superare, nelle accettazioni, il numero di 30 ammalati. Lo si sente mormorare: “E se il 31o fosse Gesù in persona?”. Da parte sua non ci sono dubbi: tratta ciascuno con la stessa tenerezza con cui avrebbe trattato Gesù stesso, offrendo la propria camera in casi di emergenza, o collocandovi anche un cadavere in momenti di necessità. Spesso la suora guardarobiera si sente interpellare: “Ha un vestito per un Gesù di 12 anni?”. Continua instancabile la sua missione tra i malati con serenità, fino al termine della sua vita, senza prendersi mai alcun riposo.

Con il suo retto atteggiamento ci restituisce una visione salesiana del “saper rimanere” nella nostra terra di missione per illuminare chi rischia di perdere la speranza, per rafforzare la fede di chi si sente venir meno, per essere segno dell’amore di Dio quando “sembra” essere stato assente dalla vita di ogni giorno. La testimonianza di Artemide ad essere buon samaritano, ad essere misericordioso come il Padre era una missione e uno stile che coinvolgeva tutti coloro che in qualche modo si dedicavano all’ospedale: medici, infermieri, addetti all’assistenza e alla cura dei malati, religiose, volontari che donavano tempo prezioso a chi soffre. Alla scuola di Zatti il loro servizio accanto ai malati, svolto con amore e competenza, diventa una missione.

Zatti sapeva e inculcava la consapevolezza che le mani di tutti coloro che erano con lui toccano la carne sofferente di Cristo e possono essere segno delle mani misericordiose del Padre. Tutto questo lo portava a riconoscere la singolarità di ogni malato, con la sua dignità e le sue fragilità, sapendo che il malato è sempre più importante della sua malattia, e per questo curava l’ascolto dei pazienti, della loro storia, delle loro ansie, delle loro paure. Sapeva che anche quando non è possibile guarire, sempre è possibile curare, sempre è possibile consolare, sempre è possibile far sentire una vicinanza che mostra interesse alla persona prima che alla sua malattia. Si ferma, ascolta, stabilisce una relazione diretta e personale con l’infermo, sente empatia e commozione per lui o per lei, si lascia coinvolgere dalla sua sofferenza fino a farsene carico nel servizio. Artemide ha vissuto la prossimità come espressione dell’amore di Gesù Cristo, il buon Samaritano, che con compassione si è fatto vicino ad ogni essere umano, ferito dal peccato. Si è sentito chiamato ad essere misericordioso come il Padre e ad amare, in particolare, i fratelli malati, deboli e sofferenti. E ha vissuto questa vicinanza, oltre che personalmente, in forma comunitaria: infatti ha generato una comunità capace di cura, che non abbandona nessuno, che include e accoglie soprattutto i più fragili.

Zatti ha stabilito un patto tra lui e i bisognosi di cura, un patto fondato sulla fiducia e il rispetto reciproci, sulla sincerità, sulla disponibilità, così da superare ogni barriera difensiva, mettere al centro la dignità del malato. Questa relazione con la persona malata aveva per Zatti la sua fonte inesauribile di motivazione e di forza nella carità di Cristo.

3. Salesiano Coadiutore 

La simpatica figura di Artemide Zatti è invito a proporre ai giovani il fascino della vita consacrata, la radicalità della sequela di Cristo obbediente, povero e casto, il primato di Dio e dello Spirito, la vita fraterna in comunità, lo spendersi totalmente per la missione. La vocazione del salesiano coadiutore fa parte della fisionomia che Don Bosco volle dare alla Congregazione Salesiana. Certo,

facile da discernere e da accogliere; essa sboccia più facilmente laddove sono promosse tra i giovani le vocazioni laicali apostoliche e viene loro offerta una gioiosa ed entusiastica testimonianza della consacrazione religiosa, come quella di Artemide Zatti.

Uno che ha sperimentato l’efficace intercessione di Artemide Zatti proprio riguardo alla vocazione del consacrato laico è lo stesso papa Francesco, quando era provinciale dei Gesuiti in Argentina. In una lettera scritta a don Cayetano Bruno sdb e datata Buenos Aires, 18 maggio 1986, tra l’altro scrive: “Nel 1976, credo che fu verso il mese di settembre approssimativamente, durante una visita canonica ai missionari gesuiti del nord argentino, mi fermai qualche giorno nell’Arcivescovato di Salta. Lì, tra una chiacchiera e l’altra alla fine dei pasti, Mons. Pérez mi raccontò la vita del Sig. Zatti. Mi diede anche da leggere il libro della vita. Mi richiamò l’attenzione la sua figura così completa di Coadiutore. In quel momento sentii che dovevo chiedere al Signore, per intercessione di quel grande Coadiutore, che ci mandasse vocazioni di coadiutori. Feci novene e chiesi ai novizi di farne. […] Nel luglio del 1977 entrò il primo Coadiutore giovane (attualmente ha 32 anni). Il 29 ottobre di quell’anno entrò il secondo (attualmente con 33 anni)”.

La lettera prosegue, presentando anno per anno l’elenco di altri 16 coadiutori entrati dal 1978 al 1986. Quindi continua: “Da quando incominciammo le preghiere al Sig. Zatti, sono entrati 18 coadiutori giovani che perseverano e altri 5 che uscirono dal noviziato e dallo iuniorato. In totale, 23 vocazioni. I novizi, gli studenti e i Coadiutori giovani hanno fatto varie volte la Novena in onore del Sig. Zatti, chiedendo vocazioni di Coadiutori. Io stesso la feci. Sono convinto della sua intercessione per questo problema, poiché, considerato il numero, è un caso raro nella Compagnia. In riconoscenza, nella 2a e 3a edizione del Devozionario del Sacro Cuore, abbiamo messo la Novena per chiedere la Canonizzazione del Sig. Zatti… Questa è stata, nelle linee generali, la storia della mia relazione con il Sig. Zatti sul problema delle vocazioni di Confratelli Coadiutori per la Compagnia. Ripeto che sono convinto della sua intercessione, perché so quanto abbiamo pregato mettendo lui come avvocato”.

Uno splendido e autorevole stimolo anche per noi ad interporre l’intercessione di Artemide Zatti per l’incremento di buone e sante vocazioni di Salesiani Coadiutori.

4. Artemide Zatti santo! 

In questo anno dedicato a San Francesco di Sales, assertore e promotore della vocazione alla santità per tutti, la testimonianza di Artemide Zatti ci ricorda come afferma il Concilio Vaticano II: «[che] tutti i fedeli d’ogni stato e condizione sono chiamati dal Signore, ognuno per la sua via, a una santità, la cui perfezione è quella stessa del Padre celeste». Sia Francesco di Sales sia don Bosco sia Artemide fanno della vita quotidiana un’espressione dell’amore di Dio, che viene ricevuto e anche ricambiato. I nostri santi hanno voluto avvicinare la relazione con Dio alla vita e la vita alla relazione con Dio. È la proposta della “santità della porta accanto” o della classe media della santità”, di cui Papa Francesco ci parla con tanto affetto.

Disponiamoci ad accogliere la grazia e il messaggio che la Chiesa ci comunica attraverso la testimonianza di santità salesiana di questo confratello coadiutore. La figura di Artemide Zatti costituisce stimolo e ispirazione per renderci segni e portatori dell’amore di Dio ai giovani e ai poveri.

Si tratta della principale forma profetica del cristianesimo: sorprendere con la scelta radicale dell’amore, contestando senza paura ogni ambiguità, operando decisamente contro il male, che umilia le persone. Rivedere il messaggio trasmesso con la nostra vita personale e comunitaria come vangelo dispiegato nel tempo, e prolungamento della vita e dell’agire di Gesù. In una parola, la nostra santità!”.

Come ho scritto nella Strenna di quest’anno: “Anche noi, come Famiglia salesiana, abbiamo bisogno di esplicitare il “carisma della visitazione”, come desiderio che portiamo nel cuore di annunciare, senza aspettare che siano gli altri a venire da noi, andando in spazi e luoghi abitati da tante persone per le quali una parola gentile, un incontro, uno sguardo pieno di rispetto può aprire i loro orizzonti verso una vita migliore”. Artemide Zatti è stato un uomo della Visitazione, portando Gesù nel suo cuore, riconoscendolo e servendolo nei fratelli ammalati e poveri con gioia e generosità. Interceda per tutti noi!

Don Ángel Fernández Artime

Rettor Maggiore 

ARTEMIDE ZATTI: SANTO

Vaticano – Il 9 aprile 2022, il Santo Padre Francesco ha ricevuto in Udienza Sua Eminenza Reverendissima il Signor Cardinale Marcello Semeraro, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi. Durante l’Udienza, il Sommo Pontefice ha autorizzato la medesima Congregazione a promulgare il Decreto riguardante:

– il miracolo attribuito all’intercessione del Beato Artemide Zatti, Laico Professo della Società Salesiana di San Giovanni Bosco; nato il 12 ottobre 1880 a Boretto (Italia) e morto il 15 marzo 1951 a Viedma (Argentina).

Con questo atto del Santo Padre si apre la via alla Canonizzazione del Beato Artemide Zatti. La data della Canonizzazione sarà decisa dal Sommo Pontefice nel corso di un Concistoro ordinario.

Artemide Zatti nacque a Boretto (Reggio Emilia) il 12 ottobre 1880. Non tardò ad esperimentare la durezza del sacrificio, tanto che a nove anni già si guadagnava la giornata da bracciante. Costretta dalla povertà, la famiglia Zatti, agli inizi del 1897, emigrò in Argentina e si stabilì a Bahìa Blanca. Il giovane Artemide prese subito a frequentare la parrocchia retta dai Salesiani, trovando nel Parroco Don Carlo Cavalli, uomo pio e di una bontà straordinaria, il suo direttore spirituale. Fu questi ad orientarlo verso la vita salesiana. Aveva 20 anni quando si recò nell’aspirantato di Bernal.

Assistendo un giovane sacerdote affetto da tbc, ne contrasse la malattia. L’interessamento paterno di Don Cavalli – che lo seguiva da lontano – fece sì che si scegliesse per lui la Casa salesiana di Viedma dove c’era un clima più adatto e soprattutto un ospedale missionario con un bravo infermiere salesiano che in pratica fungeva da «medico»: Padre Evasio Garrone. Questi invitò Artemide a pregare Maria Ausiliatrice per ottenere la guarigione, suggerendogli di fare una promessa: «Se Lei ti guarisce, tu ti dedicherai per tutta la tua vita a questi infermi». Artemide fece volentieri tale promessa e misteriosamente guarì. Dirà poi: «Credetti, promisi, guarii». La sua strada ormai era tracciata con chiarezza ed egli la intraprese con entusiasmo. Accettò con umiltà e docilità la non piccola sofferenza di rinunziare al sacerdozio. Emise come confratello laico la sua prima Professione l’11 gennaio 1908 e quella Perpetua l’8 febbraio 1911. Coerentemente alla promessa fatta alla Madonna, egli si consacrò subito e totalmente all’Ospedale, occupandosi in un primo tempo della farmacia annessa, ma poi quando nel 1913 morì Padre Garrone, tutta la responsabilità dell’ospedale cadde sulle sue spalle. Ne divenne infatti vicedirettore, amministratore, esperto infermiere stimato da tutti gli ammalati e dagli stessi sanitari che gli lasciavano man mano sempre maggiore libertà d’azione.

Il suo servizio non si limitava all’ospedale ma si estendeva a tutta la città anzi alle due località situate sulle rive del fiume Negro: Viedma e Patagones. In caso di necessità si muoveva ad ogni ora del giorno e della notte, con qualunque tempo, raggiungendo i tuguri della periferia e facendo tutto gratuitamente. La sua fama d’infermiere santo si diffuse per tutto il Sud e da tutta la Patagonia gli arrivavano ammalati. Non era raro il caso di ammalati che preferivano la visita dell’infermiere santo a quella dei medici.

Artemide Zatti amò i suoi ammalati in modo davvero commovente. Vedeva in loro Gesù stesso, a tal punto che quando chiedeva alle suore un vestito per un nuovo ragazzo arrivato, diceva: «Sorella, ha un vestito per un Gesù di 12 anni?». L’attenzione verso i suoi ammalati era tale che raggiungeva delicate sfumature. C’è chi ricorda di averlo visto portar via sulle spalle verso la camera mortuaria il corpo di un ricoverato morto durante la notte, per sottrarlo alla vista degli altri malati: e lo faceva recitando il De profundis. Fedele allo spirito salesiano e al motto lasciato in eredità da Don Bosco ai suoi figli – «lavoro e temperanza» – egli svolse un’attività prodigiosa con abituale prontezza d’animo, con eroico spirito di sacrificio, con distacco assoluto da ogni soddisfazione personale, senza mai prendersi vacanze e riposo. C’è chi ha detto che gli unici cinque giorni di riposo furono quelli trascorsi… in carcere! Sì, egli conobbe anche la prigione a causa della fuga di un carcerato ricoverato in Ospedale, fuga che si volle attribuire a lui. Ne uscì assolto e il suo ritorno a casa fu un trionfo.

Fu un uomo di facile rapporto umano, con una visibile carica di simpatia, lieto di potersi intrattenere con la gente umile. Ma fu soprattutto un uomo di Dio. Egli Lo irraggiava. Un medico dell’Ospedale, piuttosto incredulo, dirà: «Quando vedevo il signor Zatti la mia incredulità vacillava». E un altro: «Credo in Dio da quando conosco il signor Zatti».

Nel 1950 l’infaticabile infermiere cadde da una scala e fu in quella occasione che si manifestarono i sintomi di un cancro che egli stesso lucidamente diagnosticò. Continuò tuttavia ad attendere alla sua missione ancora per un anno, finché dopo sofferenze eroicamente accettate, si spense il 15 marzo 1951 in piena coscienza, circondato dall’affetto e dalla gratitudine di un’intera popolazione.

È stato dichiarato Venerabile il 7 luglio 1997 e Beatificato da San Giovanni Paolo II in Piazza San Pietro il 14 aprile 2002

ORATORIO ESTIVO 2022: prime news!!!

Tante belle proposte per vivere le vacanze nello stile di don Bosco

 

ARRIVA L’ORATORIO ESTIVO 2022!!!

Tante belle proposte per vivere le vacanze nello stile di don Bosco…

ESTATE RAGAZZI (dalla 1^ elementare alla 2^ media concluse)
6 settimane: dal 20 giugno al 29 luglio, da lunedì a venerdì (8.30 – 17.00), ogni martedì in piscina alle Cupole e ogni venerdì gita nei dintorni.

ESTAGIO’ (dalla 3^ media alla 1^ superiore concluse)
5 settimane (4 in oratorio a Cuneo + 1 di campo a San Giacomo) dal 27 giugno al 29 luglio, da lunedì a venerdì (8.30 – 17.00), ogni martedì in piscina alle Cupole e ogni venerdì gita nei dintorni.

CAMPEGGI A SAN GIACOMO DI ENTRACQUE
Elementari (3^, 4^, 5^) da domenica 10 a sabato 16 luglio.
Medie (1^, 2^) da domenica 17 a sabato 23 luglio.
Estagiò (3^ media, 1^ superiore) da domenica 24 a sabato 30 luglio.
Animatori MGS (2^, 3^, 4^, 5^ sup) da domenica 31 a sabato 6 agosto.

SETTEMBRIADI (dalla 1^ elementare alla 3^ media concluse) 1 settimana dal 5 al 9 settembre, da lunedì a venerdì (8.30 – 17.00), con una gita a settimana e una uscita nei dintorni.

 

ATTENZIONE!
Le modalità e le tempistiche delle iscrizioni saranno comunicate appena avremo indicazioni dalla Regione Piemonte riguardo alle normative aggiornate per lo svolgimento dei centri estivi.

Ci si può tenere sempre informati tramite il nostro sito:

www.salecuneo.it

 

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Verso l’incontro mondiale delle famiglie: accogliere l’amore

Decimo incontro Mondiale delle Famiglie: 7 catechesi e 7 video testimonianze che raccontano storie, ferite, rinascita, fede. È la proposta del Vicariato di Roma e del Dicastero Laici Famiglia e Vita in preparazione a questa grande festa che si terrà a Roma dal 22 al 26 giugno prossimi

Vatican News

«In una famiglia ci sono ruoli diversi, ma un’identità ci accomuna tutti: siamo tutti figli! Nessuno sceglie di nascere. Ciascuno di noi deve la sua esistenza e la sua vita a una madre e a un padre. La vita non ce la possiamo dare, la possiamo solo ricevere e custodire». Così si legge nella quarta catechesi in preparazione del X Incontro mondiale delle famiglie. Alla quale, come di consueto, si accompagna il cortometraggio realizzato dal regista Antonio Antonelli, dal titolo “Accogliere l’amore”.

Protagonista è una famiglia di Roma. Una mamma, un papà, tre figlie. Poi il tentativo di avere un quarto bambino, gli aborti spontanei. E la scelta di adottare una bambina con una grave disabilità, Manuela. A raccontare la storia di questa “normale famiglia speciale” è Alessia, la primogenita, ventenne come tante, che ci fa entrare a casa sua, tra risate e amore. Non mancano le difficoltà, ma quello che emerge è soprattutto la tenerezza, l’amore che unisce le quattro sorelle.

Perché è proprio dal fatto di essere figli che si impara la fraternità. Come dice Papa Francesco: «In famiglia, tra fratelli si impara la convivenza umana, come si deve convivere in società. Forse non sempre ne siamo consapevoli, ma è proprio la famiglia che introduce la fraternità nel mondo! A partire da questa prima esperienza di fraternità, nutrita dagli affetti e dall’educazione familiare, lo stile della fraternità si irradia come una promessa sull’intera società e sui rapporti tra i popoli».

 

Il Nido

Foglio di collegamento tra Commissione Pastorale Battesimale e Parrocchie

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Italiano per i profughi

Molte città italiane stanno generosamente accogliendo gli ucraini in fuga dalla guerra e anche Cuneo ed il suo circondario hanno aperto le porte ad adulti, adolescenti e bambini.

Gli arrivi stanno aumentando di settimana in settimana e servono iniziative di supporto che rispondano con flessibilità ai bisogni nella fase attuale dell’emergenza ma guardando anche oltre, perché è possibile che la guerra costringa queste persone a restare nel nostro paese per un periodo più lungo.

Il pensiero immediato e apparentemente banale è stato: come ci troveremmo noi in un paese straniero senza conoscere una parola della nuova lingua?

Un’esigenza fondamentale è dunque dare i primi elementi della lingua italiana per permettere loro di orientarsi nel nuovo contesto di vita dove sono stati proiettati all’improvviso: come si prende l’autobus? Come si fa la spesa? Cosa si chiede in farmacia?

In questa ottica è stato organizzato il corso di lingua e cultura italiana presso la parrocchia salesiana San Giovanni Bosco di Cuneo.

La comunità salesiana ha fornito le aule per l’attività didattica rivolta agli adulti e anche gli spazi per attività con i bambini sorvegliati dagli animatori dell’oratorio, mentre i grandi seguono le lezioni.

La prima lezione si è tenuta con successo venerdì 8 aprile alla presenza di 20 persone: tante donne e alcuni adolescenti sotto la guida di insegnanti che prestano la loro opera coadiuvati da mediatori culturali madrelingua che vivono da anni in città e coordinati da una docente abilitata all’insegnamento dell’italiano agli stranieri.

L’intervento didattico sarà strutturato in piccoli gruppi organizzati per livelli.

I percorsi, appena avviati, saranno svolti con modalità diverse per offrire la massima flessibilità e venire incontro alle esigenze più disparate che potranno emergere nel corso degli incontri.

Il progetto prevede momenti di formazione per insegnanti ed educatori sia sul piano didattico che psicologico: l’utenza è formata da adulti e minori che hanno subito il violento trauma dello sradicamento, si cerca quindi di insegnare la lingua ma anche di dare la possibilità di incontrarsi, un momento di svago, una parentesi di serenità per non avvertire troppo lo spaesamento e ricreare delle relazioni fra pari.