XX Domenica del Tempo Ordinario – Luca 12, 49-53

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «49Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso! 50Ho un battesimo nel quale sarò battezzato, e come sono angosciato finché non sia compiuto!

51Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione. 52D’ora innanzi, se in una famiglia vi sono cinque persone, saranno divisi tre contro due e due contro tre; 53si divideranno padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera».

 

Fuoco e divisione sono venuto a portare. Vangelo drammatico, duro e pensoso. E bellissimo. Testi scritti sotto il fuoco della prima violenta persecuzione contro i cristiani, quando i discepoli di Gesù si trovano di colpo scomunicati dall’istituzione giudaica e, come tali, passibili di prigione e morte. Un colpo terribile per le prime comunità di Palestina, dove erano tutti ebrei, dove le famiglie cominciano a spaccarsi attorno al fuoco e alla spada, allo scandalo della croce di Cristo.

Sono venuto a gettare fuoco sulla terra. Il fuoco è simbolo altissimo, in cui si riassumono tutti gli altri simboli di Dio, è la prima memoria nel racconto dell’Esodo della sua presenza: fiamma che arde e non consuma al Sinai; bruciore del cuore come per i discepoli di Emmaus; fuoco ardente dentro le ossa per il profeta Geremia; lingue di fuoco a Pentecoste; sigillo finale del Cantico dei Cantici: le sue vampe sono vampe di fuoco, una scheggia di Dio infuocata è l’amore.

Sono venuto a gettare Dio, il volto vero di Dio sulla terra. Con l’alta temperatura morale in cui avvengono le vere rivoluzioni.

Pensate che io sia venuto a portare la pace? No, vi dico, ma divisione. La pace non è neutralità, mediocrità, equilibrio tra bene e male. “Credere è entrare in conflitto” (David Turoldo). Forse il punto più difficile e profondo della promessa messianica di pace: essa non verrà come pienezza improvvisa, ma come lotta e conquista, terreno di conflitto, sarà scritta infatti con l’alfabeto delle ferite inciso su di una carne innocente, un tenero agnello crocifisso.

Gesù per primo è stato con tutta la sua vita segno di contraddizione, “per la caduta e la risurrezione di molti” (Luca 2,34). Conosceva, come i profeti antichi, la misteriosa beatitudine degli oppositori, di chi si oppone a tutto ciò che fa male alla storia e ai figli di Dio. La sua predicazione non metteva in pace la coscienza di nessuno, la scuoteva dalle false paci apparenti, frantumate da un modo più vero di intendere la vita.

La scelta di chi perdona, di chi non si attacca al denaro, di chi non vuole dominare ma servire, di chi non vuole vendicarsi, di chi apre le braccia e la casa, diventa precisamente, inevitabilmente, divisione, guerra, urto con chi pensa a vendicarsi, a salire e dominare, con chi pensa che vita vera sia solo quella di colui che vince.

Come Gesù, così anche noi siamo inviati a usare la nostra intelligenza non per venerare il tepore della cenere, ma per custodire il bruciore del fuoco (G. Mahler), siamo una manciata, un pugno di calore e di luce gettati in faccia alla terra, non per abbagliare, ma per illuminare e riscaldare quella porzione di mondo che è affidata alle nostre cure. (Padre Ermes Ronchi)

Assunzione della Beata Vergine Maria – Luca 11, 27-28

27Mentre diceva questo, una donna dalla folla alzò la voce e gli disse: «Beato il grembo che ti ha portato e il seno che ti ha allattato!». 28Ma egli disse: «Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!».

 

Luca ci offre, in questa festa dell’Assunzione di Maria, l’unica pagina evangelica in cui protagoniste sono le donne. Due madri, entrambe incinte in modo «impossibile», sono le prime profetesse del Nuovo Testamento. Sole, nessun’altra presenza, se non quella del mistero di Dio pulsante nel grembo. Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo!

Elisabetta ci insegna la prima parola di ogni dialogo vero: a chi ci sta vicino, a chi condivide strada e casa, a chi mi porta luce, a chi mi porta un abbraccio, ripeto la sua prima parola: che tu sia benedetto; tu sei benedizione scesa sulla mia vita!. Elisabetta ha introdotto la melodia, ha iniziato a battere il ritmo dell’anima, e Maria è diventata musica e danza, il suo corpo è un salmo: L’anima mia magnifica il Signore!. Da dove nasce il canto di Maria? Ha sentito Dio entrare nella storia, venire come vita nel grembo, intervenire non con le gesta spettacolari di comandanti o eroi, ma attraverso il miracolo umile e strepitoso della vita: una ragazza che dice sì, un’anziana che rifiorisce, un bimbo di sei mesi che danza di gioia all’abbraccio delle madri. Viene attraverso il miracolo di tutti quelli che salvano vite, in terra e in mare. Il Magnificat è il vangelo di Maria, la sua bella notizia che raggiunge tutte le generazioni. Per dieci volte ripete: è lui che ha guardato, è lui che fa grandi cose, che ha dispiegato, che ha disperso, che ha rovesciato, che ha innalzato, che ha ricolmato, che ha rimandato, che ha soccorso, che si è ricordato….è lui, per dieci volte.

La pietra d’angolo della fede non è quello che io faccio per Dio, ma quello che Dio fa per me; la salvezza è che lui mi ama, non che io lo amo. E che io sia amato dipende da lui, non dipende da me. Maria vede un Dio con le mani impigliate nel folto della vita. E usa i verbi al passato, con uno stratagemma profetico, come se tutto fosse già accaduto. Invece è il suo modo audace per affermare che si farà, con assoluta certezza, una terra e un cielo nuovi, che il futuro di Dio è certo quanto il passato, che questo mondo porta un altro mondo nel grembo. Pregare il Magnificat è affacciarsi con lei al balcone del futuro.

Santa Maria, assunta in cielo, vittoriosa sul drago, fa scendere su di noi una benedizione di speranza, consolante, su tutto ciò che rappresenta il nostro male di vivere: una benedizione sugli anni che passano, sulle tenerezze negate, sulle solitudini patite, sul decadimento di questo nostro corpo, sulla corruzione della morte, sulle sofferenze dei volti cari, sul nostro piccolo o grande drago rosso, che però non vincerà, perché la bellezza e la tenerezza sono, nel tempo e nell’eterno, più forti della violenza. (Padre Ermes Ronchi)

Francesco Besucco e la cultura alpina della Valle Stura di metà Ottocento

Il racconto della figura del giovane di Argentera che ha affascinato Don Bosco

Argentera – “Don Bosco presenta un modello educativo e di spiritualità giovanile e mistica che non troviamo per esempio nella biografia di Domenico Savio. Con Francesco Besucco, don Bosco va molto più in profondità”. Così don Aldo Giraudo, professore di spiritualità all’Università Pontificia di Roma, ha delineato la figura di Francesco Besucco, descritta da Don Bosco ne “Il pastorello delle Alpi”, nella serata di ieri, lunedì 8 agosto, nella chiesa parrocchiale di Argentera. Molte persone hanno partecipato al primo appuntamento sul giovane che ha affascinato Don Bosco.

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Lettera del Direttore, avvisi e appuntamenti – settimana dal 5 al 14 agosto 2022

XIX Domenica del Tempo Ordinario – Luca 12, 32-48

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «32Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno.

33Vendete ciò che possedete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro sicuro nei cieli, dove ladro non arriva e tarlo non consuma. 34Perché, dov’è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore.

35Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; 36siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito. 37Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. 38E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverà così, beati loro! 39Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa. 40Anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo».

41Allora Pietro disse: «Signore, questa parabola la dici per noi o anche per tutti?». 42Il Signore rispose: «Chi è dunque l’amministratore fidato e prudente, che il padrone metterà a capo della sua servitù per dare la razione di cibo a tempo debito? 43Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così. 44Davvero io vi dico che lo metterà a capo di tutti i suoi averi. 45Ma se quel servo dicesse in cuor suo: “Il mio padrone tarda a venire” e cominciasse a percuotere i servi e le serve, a mangiare, a bere e a ubriacarsi, 46il padrone di quel servo arriverà un giorno in cui non se l’aspetta e a un’ora che non sa, lo punirà severamente e gli infliggerà la sorte che meritano gli infedeli.

47Il servo che, conoscendo la volontà del padrone, non avrà disposto o agito secondo la sua volontà, riceverà molte percosse; 48quello invece che, non conoscendola, avrà fatto cose meritevoli di percosse, ne riceverà poche. A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più».

Forma breve (Lc 12,35-40):
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «35Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; 36siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito. 37Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. 38E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverà così, beati loro! 39Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa. 40Anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo».

Il fondale unico su cui si stagliano le tre parabole (i servi che attendono il loro signore, l’amministratore messo a capo del personale, il padrone di casa che monta la guardia) è la notte, simbolo della fatica del vivere, della cronaca amara dei giorni, di tutte le paure che escono dal buio dell’anima in ansia di luce. È dentro la notte, nel suo lungo silenzio, che spesso capiamo che cosa è essenziale nella nostra vita. Nella notte diventiamo credenti, cercatori di senso, rabdomanti della luce. L’altro ordito su cui sono intesse le parabole è il termine “servo”, l’autodefinizione più sconcertante che ha dato di se stesso. I servi di casa, ma più ancora un signore che si fa servitore dei suoi dipendenti, mostrano che la chiave per entrare nel regno è il servizio. L’idea-forza del mondo nuovo è nel coraggio di prendersi cura. Benché sia notte. Non possiamo neppure cominciare a parlare di etica, tanto meno di Regno di Dio, se non abbiamo provato un sentimento di cura per qualcosa.

Nella notte i servi attendono. Restare svegli fino all’alba, con le vesti da lavoro, le lampade sempre accese, come alla soglia di un nuovo esodo (cf Es 12.11) è “un di più”, un’eccedenza gratuita che ha il potere di incantare il padrone.

E mi sembra di ascoltare in controcanto la sua voce esclamare felice: questi miei figli, capaci ancora di stupirmi! Con un di più, un eccesso, una veglia fino all’alba, un vaso di profumo, un perdono di tutto cuore, gli ultimi due spiccioli gettati nel tesoro, abbracciare il più piccolo, il coraggio di varcare insieme la notte.

Se alla fine della notte lo troverà sveglio. “Se” lo troverà, non è sicuro, perché non di un obbligo si tratta, ma di sorpresa; non dovere ma stupore.

E quello che segue è lo stravolgimento che solo le parabole, la punta più rifinita del linguaggio di Gesù, sanno trasmettere: li farà mettere a tavola, si cingerà le vesti, e passerà a servirli. Il punto commovente, il sublime del racconto è quando accade l’impensabile: il padrone che si fa servitore. «Potenza della metafora, diacona linguistica di Gesù nella scuola del regno» (R. Virgili).

I servi sono signori. E il Signore è servo. Un’immagine inedita di Dio che solo lui ha osato, il Maestro dell’ultima cena, il Dio capovolto, inginocchiato davanti agli apostoli, i loro piedi nelle sue mani; e poi inchiodato su quel poco di legno che basta per morire. Mi aveva affidato le chiavi di casa ed era partito, con fiducia totale, senza dubitare, cuore luminoso. Il miracolo della fiducia del mio Signore mi seduce di nuovo: io credo in lui, perché lui crede in me. Questo sarà il solo Signore che io servirò perché è l’unico che si è fatto mio servitore. (P. Ermes Ronchi)

Messaggio della Madre da Mornese – 5 agosto 2022

In occasione del 150° Anniversario di Fondazione dell’Istituto FMA, la Madre generale, Suor Chiara Cazzuola, raggiunge da Mornese tutte le FMA e le Comunità Educanti.

Mornese (Italia). Il 5 agosto 2022, in occasione del 150° Anniversario di Fondazione, la Superiora generale dell’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice, Madre Chiara Cazzuola, raggiunge con un video-messaggio da Mornese tutte le Figlie di Maria Ausiliatrice e le Comunità Educanti.

 

“Questo sarà sempre il luogo dove si rivolgono gli occhi di tutte le FMA, perché la santità della nostra Madre Maria Domenica Mazzarello, ha scritto parole di vita sulle pietre, sui muri, nei solchi, nelle profondità dello spirito.

E oggi, con il cuore a Mornese, da ogni comunità del mondo, dall’alba al tramonto, si innalza un inno di lode e di ringraziamento a Dio per le meraviglie che ha operato nella storia e nella vita di ciascuna di noi”.

La celebrazione giubilare tanto attesa, la cui eco risuona nei cinque continenti dove le Figlie di Maria Ausiliatrice sono presenti, giunge dopo un Triennio in cui le Comunità Educanti si sono preparate a vivere questo evento di grazia, di lode e di ringraziamento, di approfondimento carismatico e di celebrazione delle meraviglie operate dal Signore in 150 anni di storia:

“Celebrare è rendere grazie per il cammino percorso, ma anche guardare al futuro, al cammino che continua. Il richiamo è ancora a Madre Mazzarello perché il suo impegno educativo la spinse a partire dai bisogni immediati, per riaccendere la speranza, orientare ai valori, ad una missione di ampio respiro di cui oggi noi siamo segno e attualizzazione mondiale”.

Con il cuore alle origini e lo sguardo proteso al futuro, Madre Chiara rivolge l’augurio di buona Festa e di buona continuazione del cammino di santità, sulle orme di Maria Domenica Mazzarello e con il sostegno di Maria Ausiliatrice.

“L’Ausiliatrice, che nella raffigurazione del santuario, costruito nel centenario della fondazione dell’Istituto (1972) ai Mazzarelli a Mornese, è protesa verso Maria Mazzarello, venga incontro anche a tutte noi, nel cammino che si apre al futuro, perché nella ricerca di vie nuove per l’educazione non smarriamo l’ispirazione originaria e siamo fedeli alla radicalità del ‘da mihi animas cetera tolle’ e dell’’A te le affido’. Lei sostenga il cammino di santità di ciascuna di noi e delle nostre comunità educanti, perché è la santità il volto più bello dell’Istituto, il segreto della sua vitalità missionaria e vocazionale”.

Testo completo

Francesco Besucco – Un santo in casa… da conoscere e da imitare

“Francesco Besucco è un fiore di santità della Valle Stura, eppure il suo ricordo si è affievolito nel tempo e in Valle e non solo, sono poche le persone che, sentendolo nominare, dichiarano di averne sentito parlare e più poche ancora quelle che ne conoscono le angeliche virtù”. Così ha scritto don Aurelio Martini nel suo libro sulla vita del giovane “Pastorello di Argentera”: scritto perchè considerava utile rinverdire il suo ricordo e anche perchè fosse sempre vivo tra le persone il suo esempio e sempre vivo il vanto della Valle Stura per aver dato ai credenti in Cristo un giovane che, morto a soli 14 anni in concetto di santità, costituisce “un fiorellino d’incanto al pari dei variopinti fiorellini che la montagna presenta a chi la frequenta e l’ama”. Quest’anno in suo ricordo la parrocchia di Argentera con la collaborazione dei Salesiani Don Bosco e con il sostegno del Comune e della Pro Loco di Argentera ha programmato due eventi:
 • La sera dell’8 agosto, alle 21, nella chiesa parrocchiale di Argentera si terrà un importante incontro con il salesiano don Aldo Giraudo, professore di spiritualità salesiana presso l’Università Pontificia a Roma, sul rapporto educativo e spirituale tra don Bosco e Besucco. il quale ha vissuto gli ultimi mesi della sua vita Torino Valdocco.  Seguirà la proiezione del film “Aiga d’en viage”.
• Il giorno seguente, 9 agosto, sempre nella chiesa parrocchiale di Argentera verrà celebrata alle ore 10 una Messa solenne presieduta da Mons. Piero Delbosco vescovo di Cuneo con la partecipazione delle Confraternite della Santa Croce a cui seguirà una preghiera presso la lapide che ricorda il luogo ove nacque Francesco. Sarà una buona occasione per tutta la nostra Valle Stura e per quanti vogliono unirsi per meglio conoscere e voler bene all’angelico giovane di Argentera, ma anche per proporlo come esempio da imitare e come protettore da invocare soprattutto per i giovani.

Preghiamo secondo le intenzioni del Papa

AGOSTO: PER I PICCOLI E MEDI IMPRENDITORI

Sappiamo tutti che la crisi che non ci siamo ancora lasciati alle spalle ha gravissime conseguenze socioeconomiche. Non solo per le grandi imprese, ma soprattutto per i piccoli e medi imprenditori, “quelli del settore del commercio, dell’artigianato, delle pulizie, dei trasporti e tanti altri”. Il loro sacrificio per trovare una via d’uscita a questa crisi, per salvare la propria attività e i propri dipendenti, è enorme. “E con coraggio, con sforzo, con sacrificio, investono nella vita generando benessere, opportunità e lavoro”. Papa Francesco ha voluto ringraziarli per il loro lavoro nella sua intenzione di preghiera per il mese di agosto. Uniamoci alla sua riconoscenza condividendo questo video.