Lettera del Direttore, avvisi e appuntamenti – settimana dal 29 aprile al 8 maggio 2022

III Domenica di Pasqua – Giovanni 21, 1-19

1Dopo questi fatti, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberìade. E si manifestò così: 2si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Dìdimo, Natanaele di Cana di Galilea, i figli di Zebedeo e altri due discepoli. 3Disse loro Simon Pietro: «Io vado a pescare». Gli dissero: «Veniamo anche noi con te». Allora uscirono e salirono sulla barca; ma quella notte non presero nulla.

4Quando già era l’alba, Gesù stette sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. 5Gesù disse loro: «Figlioli, non avete nulla da mangiare?». Gli risposero: «No». 6Allora egli disse loro: «Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete». La gettarono e non riuscivano più a tirarla su per la grande quantità di pesci. 7Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: «È il Signore!». Simon Pietro, appena udì che era il Signore, si strinse la veste attorno ai fianchi, perché era svestito, e si gettò in mare. 8Gli altri discepoli invece vennero con la barca, trascinando la rete piena di pesci: non erano infatti lontani da terra se non un centinaio di metri.

9Appena scesi a terra, videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane. 10Disse loro Gesù: «Portate un po’ del pesce che avete preso ora». 11Allora Simon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di centocinquantatré grossi pesci. E benché fossero tanti, la rete non si squarciò. 12Gesù disse loro: «Venite a mangiare». E nessuno dei discepoli osava domandargli: «Chi sei?», perché sapevano bene che era il Signore. 13Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede loro, e così pure il pesce. 14Era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere risorto dai morti.

15Quand’ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pasci i miei agnelli». 16Gli disse di nuovo, per la seconda volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pascola le mie pecore». 17Gli disse per la terza volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?». Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli domandasse: «Mi vuoi bene?», e gli disse: «Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene». Gli rispose Gesù: «Pasci le mie pecore. 18In verità, in verità io ti dico: quando eri più giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi». 19Questo disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E, detto questo, aggiunse: «Seguimi».

 

Gesù appare ai discepoli tornati in Galilea al loro lavoro di pescatori (Gv 21,1-13). Diversi motivi si intrecciano in questo racconto. Anzitutto l’interessante contrapposizione tra Pietro e il discepolo prediletto. Ambedue vedono lo sconosciuto sulla riva, però è il discepolo prediletto che riconosce per primo il Signore. Dall’altra parte è Pietro che prende l’iniziativa di andare a pescare (v. 3), corre per primo incontro al Signore (v. 7), trae a riva la rete piena di pesci (v. 8). Sembra dunque che l’evangelista voglia esaltare – da punti di vista differenti – ora l’uno, ora l’altro: il discepolo amato per la chiaroveggenza nel riconoscere il Signore, Pietro per la prontezza e la generosità nel servizio. La chiaroveggenza nell’amore e la prontezza del servizio sono due caratteristiche del discepolo di Gesù.

Ma un motivo ancora più interessante presente nella pericope è il racconto della pesca, il cui significato ecclesiale è molto chiaro. Il miracolo della pesca allude alla missione. La fatica notturna dei pescatori è stata data: Gesù aveva detto «senza di me non potete far nulla» (15,5). Ma con Gesù tutto cambia: rigettano la rete e questa volta la ritirano piena di centocinquantatré grossi pesci. L’episodio è una parabola della futura missione: vuota senza Cristo, fruttuosa con lui. È la parola del Signore che riempie le reti, e sarà sempre la sua Parola che renderà efficace in ogni tempo la missione dei discepoli. La comunità cristiana non lo dimentichi mai.

Infine un terzo motivo importante: tutti riconoscono il Signore quando egli dice: «Venite a mangiare». Riconoscono il Risorto quando ripete uno dei gesti più simbolici di tutta la sua vita terrena: il servizio a mensa. Gesù distribuisce il pane e i pesci (21,13), un silenzioso memoriale della moltiplicazione dei pani e dell’ultima cena. Il Risorto si fa riconoscere nel gesto della dedizione, che è stata la verità del suo intero cammino. La nota della dedizione appartiene al Gesù terreno e al Signore risorto. È l’identità che lo accompagna in ogni sua condizione di vita e che rivela chi egli sia veramente.

Al brano sin qui commentato segue un dialogo fra Gesù e Pietro (21,15-19). È un testo molto noto. Affidandogli l’incarico di pascere il suo gregge, Gesù chiede a Pietro l’amore, non altro. Certo Pietro deve amare anche il suo gregge, deve guidarlo e servirlo. Ma la condizione per svolgere questo incarico è anzitutto quella di amare Gesù. Per servire gli uomini non basta guardare gli uomini e i loro bisogni, ma Gesù Cristo.

Lettera del Direttore, avvisi e appuntamenti – settimana dal 22 aprile al 1 maggio 2022

II Domenica di Pasqua – Giovanni 20, 19-31

19La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». 20Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. 21Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». 22Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. 23A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».
24Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. 25Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».
26Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». 27Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». 28Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». 29Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».
30Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. 31Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.

Venne Gesù a porte chiuse. In quella stanza, dove si respirava paura, alcuni non ce l’hanno fatta a restare rinchiusi: Maria di Magdala e le donne, Tommaso e i due di Emmaus. A loro, che respirano libertà, sono riservati gli incontri più belli e più intensi.

Otto giorni dopo Gesù è ancora lì: l’abbandonato ritorna da quelli che sanno solo abbandonare; li ha inviati per le strade, e li ritrova chiusi in quella stanza; eppure non si stanca di accompagnarli con delicatezza infinita. Si rivolge a Tommaso che lui stesso aveva educato alla libertà interiore, a dissentire, ad essere rigoroso e coraggioso, vivo e umano. Non si impone, si propone: Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco.

Gesù rispetta la fatica e i dubbi; rispetta i tempi di ciascuno e la complessità del credere; non si scandalizza, si ripropone. Che bello se anche noi fossimo formati, come nel cenacolo, più all’approfondimento della fede che all’ubbidienza; più alla ricerca che al consenso!

Quante energie e quanta maturità sarebbero liberate! Gesù si espone a Tommaso con tutte le ferite aperte. Offre due mani piagate dove poter riposare e riprendere il fiato del coraggio. Pensavamo che la risurrezione avrebbe cancellato la passione, richiusi i fori dei chiodi, rimarginato le piaghe. Invece no: esse sono il racconto dell’amore scritto sul corpo di Gesù con l’alfabeto delle ferite, incancellabili ormai come l’amore stesso.

La Croce non è un semplice incidente di percorso da superare con la Pasqua, è il perché, il senso. Metti, tendi, tocca. Il Vangelo non dice che Tommaso l’abbia fatto, che abbia toccato quel corpo. Che bisogno c’era? Che inganno può nascondere chi è inchiodato al legno per te? Non le ha toccate, lui le ha baciate quelle ferite, diventate feritoie di luce. Mio Signore e mio Dio.

La fede se non contiene questo aggettivo mio non è vera fede, sarà religione, catechismo, paura. Mio dev’essere il Signore, come dice l’amata del Cantico; mio non di possesso ma di appartenenza: il mio amato è mio e io sono per lui. Mio, come lo è il cuore e, senza, non sarei. Mio come il respiro e, senza, non vivrei. Tommaso, beati piuttosto quelli che non hanno visto e hanno creduto! Una beatitudine alla mia portata: io che tento di credere, io apprendista credente, non ho visto e non ho toccato mai nulla del corpo assente del Signore. I cristiani solo accettando di non vedere, non sapere, non toccare, possono accostarsi a quella alternativa totale, alla vita totalmente altra che nasce nel buio lucente di Pasqua. (P. E. Ronchi)

 

 

 

Don Rino Pistellato sulla guerra in Ucraina

Ex direttore dell’istituto Elvetico di Lugano, don Rino Pistellato ha trascorso dieci anni prima a Gatchina (Russia), poi altrettanti a Leopoli nell’Ucraina. Un prete con due cuori, mobilitato adesso per aiutare il popolo invaso e assediato. Ha educato gli studenti del dopo – URSS a respirare e vivere “la pace e la libertà”. E ora si chiede “da che parte staranno”. Coraggiosa la condanna di Putin e dei ritardi della diplomazia nel prevenire la messa in atto dell’aggressione di Mosca. E conclude: ” Personalmente sento l’Ucraina come la mia terra promessa e Leopoli città della mia gioia”.

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Lettera del Direttore, avvisi e appuntamenti – settimana dal 15 al 24 aprile 2022

Domenica di Pasqua – Giovanni 20, 1-9

1Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro. 2Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!». 3Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. 4Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. 5Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò. 6Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, 7e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte. 8Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. 9Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti.

Pasqua ci viene incontro con un intrecciarsi armonioso di segni cosmici: primavera, plenilunio, primo giorno della settimana, prima ora del giorno. Una cornice di inizi, di cominciamenti: inizia una settimana nuova (biblica unità di misura del tempo), inizia il giorno, il sole è nuovo, la luce è nuova.

Il primo giorno, al mattino presto, esse si recarono al sepolcro. Luca si è dimenticato il soggetto, ma non occorre che ci dica chi sono, lo sanno tutti che sono loro, le donne, le stesse che il venerdì non sono arretrate di un millimetro dal piccolo perimetro attorno alla croce. Quelle cui si è fermato il cuore quando hanno udito fermarsi il battito del cuore di Dio. Quelle che nel grande sabato, cerniera temporale tra il venerdì della fine e la prima domenica della storia, cucitura tra la morte e il parto della vita, hanno preparato oli aromatici per contrastare, come possono, la morte, per toccare e accarezzare ancora le piaghe del crocifisso. Le donne di Luca sono una trinità al femminile (R. Virgili): vanno a portare al Signore la loro presenza e la loro cura. Presenza: l’altro nome dell’amore.

Davanti alla tomba vuota, davanti al corpo assente, è necessaria una nuova annunciazione, angeli vestiti di lampi: perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui. È risorto. Una cascata di bellezza. Il nome prima di tutto: “il Vivente”, non semplicemente uno fra gli altri viventi, ma Colui che è la pienezza dell’azione di vivere. E poi: “non è qui”! Lui c’è, ma non qui; è vivo e non può stare fra le cose morte; è dovunque, ma non qui. Il Vangelo è infinito proprio perché non termina con una conclusione, ma con una ripartenza.

Pasqua vuol dire passaggio: abbiamo un Dio passatore di frontiere, un Dio migratore. Non è festa per residenti o per stanziali, ma per migratori, per chi inventa sentieri che fanno ripartire e scollinare oltre il nostro io.

Ed esse si ricordarono delle sue parole. Le donne credono, perché ricordano. Credono senza vedere; per la parola di Gesù, non per quella degli angeli; ricordano le sue parole perché le amano. In noi resta vivo solo ciò che ci sta a cuore: vive ciò che è amato, vive a lungo ciò che è molto amato, vive per sempre ciò che vale più della vita stessa. Anche per me, credere comincia con l’amore della Parola, di un Uomo. Quello che occorre è un uomo un passo sicuro e tanto salda la mano che porge, che tutti possano afferrarla (C. Bettocchi).

Quello che occorre è l’umanità di Dio, che non se ne sta lontano, me entra nel nostro panico, nel nostro vuoto, visita il sepolcro, ci prende per mano e ci trascina fuori. E fuori è primavera.

Ecco il cuore di Pasqua: il bene è più profondo del male. (E. Ronchi)

 

Gli auguri pasquali del Rettor Maggiore

Gli auguri pasquali che il Rettor Maggiore Don Ángel Fernández Artime è solito inviare, quest’anno, oltre al contenuto augurante ad ognuno Pace, Gioia e Speranza nel Cristo Risorto, si caratterizzano per essere stati stampati dall’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato di Roma. Si tratta di un foglietto erinnofilo da collezione, tirato in mille copie, raffigurante in serigrafia l’esterno della Casa Museo Don Bosco di Valdocco (Torino) e cinque chiudilettera raffiguranti pezzi “speciali” dello stesso museo.

Gli auguri poi sono stati stampati su carta pergamena con rappresentata una immagine del fondatore dei Salesiani stile anni ‘30. Il foglietto è opera della dottoressa Maria Carmela Perrini che già nel 1988 ha raffigurato il francobollo vaticano dedicato all’anno centenario della morte di Don Bosco

Messaggio del Rettor Maggiore

in occasione della comunicazione che il Beato Artemide Zatti sarà proclamato santo

É una Pasqua speciale quella che ci apprestiamo a vivere. Abbiamo accolto con immensa gioia il grande dono della notizia che il Sommo Pontefice ha autorizzato la Congregazione delle Cause dei Santi a promulgare il Decreto riguardante il miracolo attribuito all’intercessione del Beato Artemide Zatti, Laico Professo della Società Salesiana di San Giovanni Bosco; nato il 12 ottobre 1880 a Boretto (Italia) e morto il 15 marzo 1951 a Viedma (Argentina). Con questo atto del Santo Padre si apre la via alla Canonizzazione del Beato Artemide Zatti.

Siamo profondamente grati a Dio e al Santo Padre Francesco. Nella Famiglia Salesiana, nella Chiesa Argentina, in particolare la diocesi di Viedma, e in Italia a Boretto, suo paese natale, e nella Diocesi di Reggio Emila c’è oggi una atmosfera di grande entusiasmo.

1. Testimone di speranza 

Questa notizia, nella luce della Pasqua del Signore, è un messaggio e un seme di speranza per il tempo drammatico che stiamo vivendo segnato dalla pandemia e soprattutto da tante guerre, in particolare quella in Ucraina, che portano morte, dolore e distruzione. Artemide Zatti ci incoraggia a vivere la speranza come virtù e come atteggiamento di vita in Dio. Il cammino verso la santità richiede molto spesso un cambio di valori e di visione. Questo è stato il cammino vissuto da Artemide che nelle prove della vita ha scoperto nella Croce la grande opportunità di rinascere a una nuova vita: 

  • quando da ragazzo nei duri e faticosi lavori di campagna, impara subito ad affrontare le fatiche e le responsabilità che lo avrebbero sempre accompagnato negli anni della maturità;
  • quando con la sua famiglia lascia il proprio paese, Boretto in Italia, in cerca di maggior fortuna. L’emigrazione verso l’Argentina, quando Artemide ha 15 anni, è una conseguenza necessaria della povertà della famiglia;
  • quando giovane aspirante alla vita salesiana è colpito da tubercolosi, contagiato da un giovane sacerdote che stava aiutando proprio perché molto malato. Il giovane Zatti sperimenta nella propria carne il dramma della malattia, non solo come fragilità e sofferenza del corpo, ma anche come un qualcosa che tocca il cuore, che genera paure e moltiplica interrogativi, facendo emergere con preponderanza la domanda di senso per tutto quello che succede e quale futuro gli si para davanti, vedendo che ciò che sognava e a cui anelava d’improvviso viene meno. Nella fede si rivolge a Dio ricerca un nuovo significato e una nuova direzione all’esistenza, a cui non trova né subito, né facilmente una risposta. Grazie alla presenza saggia e incoraggiante del padre Cavalli e del padre Garrone e leggendo in spirito di discernimento e di obbedienza le circostanze della vita, matura la vocazione salesiana come fratello coadiutore dedicando tutta la vita alla cura materiale e spirituale degli ammalati e all’assistenza ai poveri e ai bisognosi. Decide di restare con Don Bosco, vivendo in pienezza l’originale vocazione del “coadiutore”;
  • quando deve affrontare prove, sacrifici e debiti per portare avanti la missione a favore dei poveri e degli ammalati gestendo l’ospedale e la farmacia, confidando sempre nell’aiuto della Provvidenza;
  • quando vede demolire l’ospedale a cui aveva dedicato tante energie e risorse, per costruirne un nuovo;
  • quando nel 1950 cadde da una scala e si manifestarono i sintomi di un tumore, da lui stesso lucidamente diagnosticato, che lo avrebbe portato alla morte, avvenuta il 15 marzo 1951: continuò tuttavia ad attendere alla missione alla quale si era consacrato, accettando le sofferenze di questo ultimo tratto della vita.

2. Amico dei poveri 

Artemide Zatti ha consacrato la sua vita a Dio nel servizio ai malati, ai poveri. Responsabile dell’ospedale San José in Viedma, allarga la cerchia dei suoi assistiti raggiungendo, con la sua inseparabile bicicletta, tutti i malati della città, specialmente i più poveri. Amministra tanto denaro, ma la sua vita è poverissima: per il viaggio in Italia in occasione della canonizzazione di don Bosco gli si dovettero prestare vestito, cappello e valigia. Amato e stimato dagli ammalati; amato e stimato dai medici che gli danno la massima fiducia, e si arrendono all’ascendente che scaturisce dalla sua santità: “Quando sto con Zatti, non posso fare a meno di credere in Dio”, esclama un giorno un medico che si proclamava ateo. Il segreto di tanto ascendente? Eccolo: per lui ogni ammalato era Gesù in persona. Alla lettera! Da parte dei superiori fu raccomandato un giorno di non superare, nelle accettazioni, il numero di 30 ammalati. Lo si sente mormorare: “E se il 31o fosse Gesù in persona?”. Da parte sua non ci sono dubbi: tratta ciascuno con la stessa tenerezza con cui avrebbe trattato Gesù stesso, offrendo la propria camera in casi di emergenza, o collocandovi anche un cadavere in momenti di necessità. Spesso la suora guardarobiera si sente interpellare: “Ha un vestito per un Gesù di 12 anni?”. Continua instancabile la sua missione tra i malati con serenità, fino al termine della sua vita, senza prendersi mai alcun riposo.

Con il suo retto atteggiamento ci restituisce una visione salesiana del “saper rimanere” nella nostra terra di missione per illuminare chi rischia di perdere la speranza, per rafforzare la fede di chi si sente venir meno, per essere segno dell’amore di Dio quando “sembra” essere stato assente dalla vita di ogni giorno. La testimonianza di Artemide ad essere buon samaritano, ad essere misericordioso come il Padre era una missione e uno stile che coinvolgeva tutti coloro che in qualche modo si dedicavano all’ospedale: medici, infermieri, addetti all’assistenza e alla cura dei malati, religiose, volontari che donavano tempo prezioso a chi soffre. Alla scuola di Zatti il loro servizio accanto ai malati, svolto con amore e competenza, diventa una missione.

Zatti sapeva e inculcava la consapevolezza che le mani di tutti coloro che erano con lui toccano la carne sofferente di Cristo e possono essere segno delle mani misericordiose del Padre. Tutto questo lo portava a riconoscere la singolarità di ogni malato, con la sua dignità e le sue fragilità, sapendo che il malato è sempre più importante della sua malattia, e per questo curava l’ascolto dei pazienti, della loro storia, delle loro ansie, delle loro paure. Sapeva che anche quando non è possibile guarire, sempre è possibile curare, sempre è possibile consolare, sempre è possibile far sentire una vicinanza che mostra interesse alla persona prima che alla sua malattia. Si ferma, ascolta, stabilisce una relazione diretta e personale con l’infermo, sente empatia e commozione per lui o per lei, si lascia coinvolgere dalla sua sofferenza fino a farsene carico nel servizio. Artemide ha vissuto la prossimità come espressione dell’amore di Gesù Cristo, il buon Samaritano, che con compassione si è fatto vicino ad ogni essere umano, ferito dal peccato. Si è sentito chiamato ad essere misericordioso come il Padre e ad amare, in particolare, i fratelli malati, deboli e sofferenti. E ha vissuto questa vicinanza, oltre che personalmente, in forma comunitaria: infatti ha generato una comunità capace di cura, che non abbandona nessuno, che include e accoglie soprattutto i più fragili.

Zatti ha stabilito un patto tra lui e i bisognosi di cura, un patto fondato sulla fiducia e il rispetto reciproci, sulla sincerità, sulla disponibilità, così da superare ogni barriera difensiva, mettere al centro la dignità del malato. Questa relazione con la persona malata aveva per Zatti la sua fonte inesauribile di motivazione e di forza nella carità di Cristo.

3. Salesiano Coadiutore 

La simpatica figura di Artemide Zatti è invito a proporre ai giovani il fascino della vita consacrata, la radicalità della sequela di Cristo obbediente, povero e casto, il primato di Dio e dello Spirito, la vita fraterna in comunità, lo spendersi totalmente per la missione. La vocazione del salesiano coadiutore fa parte della fisionomia che Don Bosco volle dare alla Congregazione Salesiana. Certo,

facile da discernere e da accogliere; essa sboccia più facilmente laddove sono promosse tra i giovani le vocazioni laicali apostoliche e viene loro offerta una gioiosa ed entusiastica testimonianza della consacrazione religiosa, come quella di Artemide Zatti.

Uno che ha sperimentato l’efficace intercessione di Artemide Zatti proprio riguardo alla vocazione del consacrato laico è lo stesso papa Francesco, quando era provinciale dei Gesuiti in Argentina. In una lettera scritta a don Cayetano Bruno sdb e datata Buenos Aires, 18 maggio 1986, tra l’altro scrive: “Nel 1976, credo che fu verso il mese di settembre approssimativamente, durante una visita canonica ai missionari gesuiti del nord argentino, mi fermai qualche giorno nell’Arcivescovato di Salta. Lì, tra una chiacchiera e l’altra alla fine dei pasti, Mons. Pérez mi raccontò la vita del Sig. Zatti. Mi diede anche da leggere il libro della vita. Mi richiamò l’attenzione la sua figura così completa di Coadiutore. In quel momento sentii che dovevo chiedere al Signore, per intercessione di quel grande Coadiutore, che ci mandasse vocazioni di coadiutori. Feci novene e chiesi ai novizi di farne. […] Nel luglio del 1977 entrò il primo Coadiutore giovane (attualmente ha 32 anni). Il 29 ottobre di quell’anno entrò il secondo (attualmente con 33 anni)”.

La lettera prosegue, presentando anno per anno l’elenco di altri 16 coadiutori entrati dal 1978 al 1986. Quindi continua: “Da quando incominciammo le preghiere al Sig. Zatti, sono entrati 18 coadiutori giovani che perseverano e altri 5 che uscirono dal noviziato e dallo iuniorato. In totale, 23 vocazioni. I novizi, gli studenti e i Coadiutori giovani hanno fatto varie volte la Novena in onore del Sig. Zatti, chiedendo vocazioni di Coadiutori. Io stesso la feci. Sono convinto della sua intercessione per questo problema, poiché, considerato il numero, è un caso raro nella Compagnia. In riconoscenza, nella 2a e 3a edizione del Devozionario del Sacro Cuore, abbiamo messo la Novena per chiedere la Canonizzazione del Sig. Zatti… Questa è stata, nelle linee generali, la storia della mia relazione con il Sig. Zatti sul problema delle vocazioni di Confratelli Coadiutori per la Compagnia. Ripeto che sono convinto della sua intercessione, perché so quanto abbiamo pregato mettendo lui come avvocato”.

Uno splendido e autorevole stimolo anche per noi ad interporre l’intercessione di Artemide Zatti per l’incremento di buone e sante vocazioni di Salesiani Coadiutori.

4. Artemide Zatti santo! 

In questo anno dedicato a San Francesco di Sales, assertore e promotore della vocazione alla santità per tutti, la testimonianza di Artemide Zatti ci ricorda come afferma il Concilio Vaticano II: «[che] tutti i fedeli d’ogni stato e condizione sono chiamati dal Signore, ognuno per la sua via, a una santità, la cui perfezione è quella stessa del Padre celeste». Sia Francesco di Sales sia don Bosco sia Artemide fanno della vita quotidiana un’espressione dell’amore di Dio, che viene ricevuto e anche ricambiato. I nostri santi hanno voluto avvicinare la relazione con Dio alla vita e la vita alla relazione con Dio. È la proposta della “santità della porta accanto” o della classe media della santità”, di cui Papa Francesco ci parla con tanto affetto.

Disponiamoci ad accogliere la grazia e il messaggio che la Chiesa ci comunica attraverso la testimonianza di santità salesiana di questo confratello coadiutore. La figura di Artemide Zatti costituisce stimolo e ispirazione per renderci segni e portatori dell’amore di Dio ai giovani e ai poveri.

Si tratta della principale forma profetica del cristianesimo: sorprendere con la scelta radicale dell’amore, contestando senza paura ogni ambiguità, operando decisamente contro il male, che umilia le persone. Rivedere il messaggio trasmesso con la nostra vita personale e comunitaria come vangelo dispiegato nel tempo, e prolungamento della vita e dell’agire di Gesù. In una parola, la nostra santità!”.

Come ho scritto nella Strenna di quest’anno: “Anche noi, come Famiglia salesiana, abbiamo bisogno di esplicitare il “carisma della visitazione”, come desiderio che portiamo nel cuore di annunciare, senza aspettare che siano gli altri a venire da noi, andando in spazi e luoghi abitati da tante persone per le quali una parola gentile, un incontro, uno sguardo pieno di rispetto può aprire i loro orizzonti verso una vita migliore”. Artemide Zatti è stato un uomo della Visitazione, portando Gesù nel suo cuore, riconoscendolo e servendolo nei fratelli ammalati e poveri con gioia e generosità. Interceda per tutti noi!

Don Ángel Fernández Artime

Rettor Maggiore 

ARTEMIDE ZATTI: SANTO

Vaticano – Il 9 aprile 2022, il Santo Padre Francesco ha ricevuto in Udienza Sua Eminenza Reverendissima il Signor Cardinale Marcello Semeraro, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi. Durante l’Udienza, il Sommo Pontefice ha autorizzato la medesima Congregazione a promulgare il Decreto riguardante:

– il miracolo attribuito all’intercessione del Beato Artemide Zatti, Laico Professo della Società Salesiana di San Giovanni Bosco; nato il 12 ottobre 1880 a Boretto (Italia) e morto il 15 marzo 1951 a Viedma (Argentina).

Con questo atto del Santo Padre si apre la via alla Canonizzazione del Beato Artemide Zatti. La data della Canonizzazione sarà decisa dal Sommo Pontefice nel corso di un Concistoro ordinario.

Artemide Zatti nacque a Boretto (Reggio Emilia) il 12 ottobre 1880. Non tardò ad esperimentare la durezza del sacrificio, tanto che a nove anni già si guadagnava la giornata da bracciante. Costretta dalla povertà, la famiglia Zatti, agli inizi del 1897, emigrò in Argentina e si stabilì a Bahìa Blanca. Il giovane Artemide prese subito a frequentare la parrocchia retta dai Salesiani, trovando nel Parroco Don Carlo Cavalli, uomo pio e di una bontà straordinaria, il suo direttore spirituale. Fu questi ad orientarlo verso la vita salesiana. Aveva 20 anni quando si recò nell’aspirantato di Bernal.

Assistendo un giovane sacerdote affetto da tbc, ne contrasse la malattia. L’interessamento paterno di Don Cavalli – che lo seguiva da lontano – fece sì che si scegliesse per lui la Casa salesiana di Viedma dove c’era un clima più adatto e soprattutto un ospedale missionario con un bravo infermiere salesiano che in pratica fungeva da «medico»: Padre Evasio Garrone. Questi invitò Artemide a pregare Maria Ausiliatrice per ottenere la guarigione, suggerendogli di fare una promessa: «Se Lei ti guarisce, tu ti dedicherai per tutta la tua vita a questi infermi». Artemide fece volentieri tale promessa e misteriosamente guarì. Dirà poi: «Credetti, promisi, guarii». La sua strada ormai era tracciata con chiarezza ed egli la intraprese con entusiasmo. Accettò con umiltà e docilità la non piccola sofferenza di rinunziare al sacerdozio. Emise come confratello laico la sua prima Professione l’11 gennaio 1908 e quella Perpetua l’8 febbraio 1911. Coerentemente alla promessa fatta alla Madonna, egli si consacrò subito e totalmente all’Ospedale, occupandosi in un primo tempo della farmacia annessa, ma poi quando nel 1913 morì Padre Garrone, tutta la responsabilità dell’ospedale cadde sulle sue spalle. Ne divenne infatti vicedirettore, amministratore, esperto infermiere stimato da tutti gli ammalati e dagli stessi sanitari che gli lasciavano man mano sempre maggiore libertà d’azione.

Il suo servizio non si limitava all’ospedale ma si estendeva a tutta la città anzi alle due località situate sulle rive del fiume Negro: Viedma e Patagones. In caso di necessità si muoveva ad ogni ora del giorno e della notte, con qualunque tempo, raggiungendo i tuguri della periferia e facendo tutto gratuitamente. La sua fama d’infermiere santo si diffuse per tutto il Sud e da tutta la Patagonia gli arrivavano ammalati. Non era raro il caso di ammalati che preferivano la visita dell’infermiere santo a quella dei medici.

Artemide Zatti amò i suoi ammalati in modo davvero commovente. Vedeva in loro Gesù stesso, a tal punto che quando chiedeva alle suore un vestito per un nuovo ragazzo arrivato, diceva: «Sorella, ha un vestito per un Gesù di 12 anni?». L’attenzione verso i suoi ammalati era tale che raggiungeva delicate sfumature. C’è chi ricorda di averlo visto portar via sulle spalle verso la camera mortuaria il corpo di un ricoverato morto durante la notte, per sottrarlo alla vista degli altri malati: e lo faceva recitando il De profundis. Fedele allo spirito salesiano e al motto lasciato in eredità da Don Bosco ai suoi figli – «lavoro e temperanza» – egli svolse un’attività prodigiosa con abituale prontezza d’animo, con eroico spirito di sacrificio, con distacco assoluto da ogni soddisfazione personale, senza mai prendersi vacanze e riposo. C’è chi ha detto che gli unici cinque giorni di riposo furono quelli trascorsi… in carcere! Sì, egli conobbe anche la prigione a causa della fuga di un carcerato ricoverato in Ospedale, fuga che si volle attribuire a lui. Ne uscì assolto e il suo ritorno a casa fu un trionfo.

Fu un uomo di facile rapporto umano, con una visibile carica di simpatia, lieto di potersi intrattenere con la gente umile. Ma fu soprattutto un uomo di Dio. Egli Lo irraggiava. Un medico dell’Ospedale, piuttosto incredulo, dirà: «Quando vedevo il signor Zatti la mia incredulità vacillava». E un altro: «Credo in Dio da quando conosco il signor Zatti».

Nel 1950 l’infaticabile infermiere cadde da una scala e fu in quella occasione che si manifestarono i sintomi di un cancro che egli stesso lucidamente diagnosticò. Continuò tuttavia ad attendere alla sua missione ancora per un anno, finché dopo sofferenze eroicamente accettate, si spense il 15 marzo 1951 in piena coscienza, circondato dall’affetto e dalla gratitudine di un’intera popolazione.

È stato dichiarato Venerabile il 7 luglio 1997 e Beatificato da San Giovanni Paolo II in Piazza San Pietro il 14 aprile 2002