Don Michele Ferrero saluta i Sale al suo rientro in Cina.

Grazie alla Provvidenza ho avuto la possibilità di una breve visita a Cuneo prima di tornare in Cina. Ora, dopo un viaggio pieno di tamponi e certificati, sono a Hong Kong, in quarantena in un albergo deciso dal governo, in attesa di tornare a Pechino – e fare un’altra quarantena! In Cina i controlli sono molto rigidi perché’ il sistema sanitario è diverso e se avessero troppi casi gli ospedali sarebbero presto al collasso.

Questi giorni a Cuneo sono stati soprattutto una visita ai miei genitori, ma anche un’occasione per qualche celebrazione in parrocchia. Un grazie di cuore a don Mauro per la generosa ospitalità. Grazie anche agli altri confratelli della comunità (don Alberto e don Michael) che ho visto di corsa perché’ super impegnati con mille attività estive: un meraviglioso esempio di vita salesiana. I miei migliori auguri al signor Botto per il compleanno e a don Flaviano per una completa guarigione.

Ad agosto c’è meno gente, ma il clima di preghiera è lo stesso, e vedo che questo virus diabolico non riesce a fermare la voglia di pregare dei Cuneesi. C’è sempre un bel clima spirituale nella nostra bella chiesa ed è piacevole fermarsi nel silenzio a guardare Maria che indica Gesù.

Sulla Cina scrivo poco e in modo ridotto, ma non me ne scuso perché’ non dipende da me. Come dicono nei film americani: “Hai il diritto di rimanere in silenzio, ogni cosa che dirai potrà essere usata contro di te”.

Intanto rinnovo a tutti la promessa del ricordo nella Santa Messa nella certezza che le distanze chilometriche per lo Spirito Santo non contano.

Ciao

L’amore colora il grigio del mondo

«L’amore dà sempre vita. L’amore coniugale non si esaurisce all’interno della coppia,
ma genera una famiglia».
«Ogni nuova vita “ci permette di scoprire la dimensione più gratuita dell’amore, che non
finisce mai di stupirci. È la bellezza di essere amati prima: i figli sono amati prima che arrivino”. Questo riflette il primato dell’amore di Dio, che prende sempre l’iniziativa» AL 166.
«Con la testimonianza, e anche con la parola, le famiglie parlano di Gesù agli altri,
trasmettono la fede, risvegliano il desiderio di Dio, e mostrano la bellezza del Vangelo e
dello stile di vita che ci propone. Così i coniugi cristiani dipingono il grigio dello spazio
pubblico riempiendolo con i colori della fraternità, della sensibilità sociale, della difesa
delle persone fragili, della fede luminosa, della speranza attiva. La loro fecondità si allarga e si traduce in mille modi di rendere presente l’amore di Dio nella società»

 

XXI Domenica del Tempo Ordinario – Giovanni 6, 60-69

Dal vangelo  secondo Giovanni  6, 60-69

60Molti dei suoi discepoli, dopo aver ascoltato, dissero: «Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?». 61Gesù, sapendo dentro di sé che i suoi discepoli mormoravano riguardo a questo, disse loro: «Questo vi scandalizza? 62E se vedeste il Figlio dell’uomo salire là dov’era prima? 63È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che io vi ho detto sono spirito e sono vita. 64Ma tra voi vi sono alcuni che non credono». Gesù infatti sapeva fin da principio chi erano quelli che non credevano e chi era colui che lo avrebbe tradito. 65E diceva: «Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre».
66Da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui. 67Disse allora Gesù ai Dodici: «Volete andarvene anche voi?». 68Gli rispose Simon Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna 69e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio».

Nel brano evangelico di questa domenica l’incredulità non è più solo della folla, o dei giudei, ma coinvolge anche la cerchia dei discepoli. Essi «mormorano» esattamente come Israele nel deserto e come i giudei che si scandalizzano di fronte a Gesù che pretende essere disceso dal cielo e essere la salvezza del mondo. La ragione di questa loro incredulità? Eccola: «Questo discorso è difficile, come possiamo accettarlo?». Frequentemente si pensa che «il discorso difficile» si riferisca soprattutto all’Eucaristia, cioè alla presenza del Cristo nel pane e nel vino, una presenza giudicata impossibile. In realtà, il discorso difficile si riferisce a tutto il contenuto del capitolo sesto: l’offerta di una salvezza che supera le meschine attese della folla; la presenza del Figlio di Dio nel figlio del falegname; soprattutto la necessità di condividere la sua esistenza in dono. Tutto questo è il discorso difficile: difficile da capire e, ancor più, da praticare. «Da quel momento molti dei suoi discepoli si tirarono indietro»: tirarsi indietro è proprio il contrario della sequela, che è un movimento in avanti, proteso verso la condivisione sempre più profonda. Di fronte all’incredulità che ha ormai raggiunto il cuore della sua comunità, Gesù non muta le sue parole né le rispiega. Spinge, invece, la riflessione alla radice della fede, in quella misteriosa profondità in cui la grazia del Padre e la responsabilità dell’uomo sono chiamate a incontrarsi. «È lo Spirito che vivifica, la carne non giova a nulla»; «Le mie parole sono Spirito e vita»; «Nessuno può venire a me se non gli è dato dal Padre»: tutte queste frasi ripropongono il motivo della grazia. L’uomo è impotente («la carne non giova a nulla»), soltanto lo Spirito di Dio può far rinascere l’uomo e aprirlo a nuovi orizzonti («Lo Spirito vivifica»). L’uomo non può ottenere la vita da se stesso. Soltanto se rinuncia alla pretesa di fare da sé e riconosce la sua povertà, l’uomo si pone in condizione di aprirsi alle parole di Gesù. Ma non c’è soltanto l’incredulità della folla, dei giudei e di molti discepoli. C’è anche la fede. Gesù costringe i dodici, la cerchia più ristretta della sua comunità, a non sfuggire il problema: «Volete andarvene anche voi?» A nome dell’intero gruppo, Pietro risponde con parole che esprimono la fede di ogni discepolo: «Tu solo hai parole di verità!». Gesù è l’unico salvatore, l’unico che rende la salvezza di Dio presente in mezzo a noi. (B. Maggioni, biblista)

Assunzione della Beata Vergine Maria – Luca 1, 39-56

Assunzione della Beata Vergine Maria – Luca 1, 39-56

39In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. 40Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. 41Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo 42ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! 43A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? 44Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. 45E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto».

46Allora Maria disse: «L’anima mia magnifica il Signore
47e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore,
48perché ha guardato l’umiltà della sua serva. D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata.
49Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente e Santo è il suo nome;
50 di generazione in generazione la sua misericordia per quelli che lo temono.
51Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore;
52ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili;
53ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote.
54Ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia,
55come aveva detto ai nostri padri, per Abramo e la sua discendenza, per sempre».

56Maria rimase con lei circa tre mesi, poi tornò a casa sua.

 L’Assunzione di Maria al cielo in anima e corpo è l’icona del nostro futuro, anticipazione di un comune destino: an­nuncia che l’anima è santa, ma che il Creatore non spreca le sue meraviglie: anche il corpo è santo e avrà, trasfigurato, lo stesso destino dell’anima. Perché l’uomo è uno.

I dogmi che riguardano Maria, ben più che un privilegio esclusivo, sono indicazioni esistenziali valide per ogni uomo e ogni donna. Lo indica benissimo la lettura dell’Apocalisse: vidi una donna vestita di sole, che stava per partorire, e un drago

Il segno della donna nel cielo evoca santa Maria, ma anche l’intera umanità, la Chiesa di Dio, ciascuno di noi, anche me, piccolo cuore ancora vestito d’ombre, ma affamato di sole. Contiene la nostra comune vocazione: assorbire luce, farsene custodi (vestita di sole), essere nella vita datori di vita (stava per partorire): vestiti di sole, portatori di vita, capaci di lottare contro il male (il drago rosso). Indossare la luce, trasmettere vita, non cedere al grande male.

La festa dell’Assunta ci chiama ad aver fede nell’esito buono, positivo della storia: la terra è incinta di vita e non finirà fra le spire della violenza; il futuro è minacciato, ma la bellezza e la vitalità della Donna sono più forti della violenza di qualsiasi drago.

Il Vangelo presenta l’unica pagina in cui sono protagoniste due donne, senza nessun’altra presenza, che non sia quella del mistero di Dio pulsante nel grembo. Nel Vangelo profetizzano per prime le madri.

«Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo». Prima parola di Elisabetta, che mantiene e prolunga il giuramento irrevocabile di Dio: Dio li benedisse (Genesi 1,28), e lo estende da Maria a ogni donna, a ogni creatura. La prima parola, la prima germinazione di pensiero, l’inizio di ogni dialogo fecondo è quando sai dire all’altro: che tu sia benedetto. Poterlo pensare e poi proclamare a chi ci sta vicino, a chi condivide strada e casa, a chi porta un mistero, a chi porta un abbraccio: «Tu sei benedetto», Dio mi benedice con la tua presenza, possa benedirti con la mia presenza.

«L’anima mia magnifica il Signore». Magnificare significa fare grande. Ma come può la piccola creatura fare grande il suo Creatore? Tu fai grande Dio nella misura in cui gli dai tempo e cuore. Tu fai piccolo Dio nella misura in cui Lui diminuisce nella tua vita.

Santa Maria ci aiuta a camminare occupati dall’avvenire di cielo che è in noi come un germoglio di luce. Ad abitare la terra come lei, benedicendo le creature e facendo grande Dio.

AGOSTO: LA CHIESA IN CAMMINO

La vocazione propria della Chiesa è di evangelizzare, che non significa fare proselitismo, no. La vocazione è evangelizzare. Di più: l’identità della Chiesa è evangelizzare.

XIX Domenica del Tempo Ordinario – Giovanni 6, 41-51

Dal vangelo  secondo Giovanni  6, 41-51

41Allora i Giudei si misero a mormorare contro di lui perché aveva detto: «Io sono il pane disceso dal cielo». 42E dicevano: «Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui non conosciamo il padre e la madre? Come dunque può dire: “Sono disceso dal cielo”?».
43Gesù rispose loro: «Non mormorate tra voi. 44Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. 45Sta scritto nei profeti: E tutti saranno istruiti da Dio. Chiunque ha ascoltato il Padre e ha imparato da lui, viene a me. 46Non perché qualcuno abbia visto il Padre; solo colui che viene da Dio ha visto il Padre. 47In verità, in verità io vi dico: chi crede ha la vita eterna.
48Io sono il pane della vita. 49I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; 50questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia. 51Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».

Di fronte all’affermazione di Gesù («Sono io il pane disceso dal cielo») i giudei reagiscono protestando e mormorando. Non riescono a convincersi dell’origine divina di Gesù. Il suo aspetto terreno, fenomenico (è il figlio di Giuseppe e se ne conosce il padre e la madre), sembra loro inconciliabile con la sua proclamata origine divina («Sono il pane disceso dal cielo»). Di fronte alle mormorazioni dei giudei, Gesù non discute, ma afferma. Il dialogo c’è stato e anche la pazienza di Dio, ma ora – arrivati al punto – c’è spazio soltanto per un sì e per un no. Gesù ribadisce – ancora più drasticamente – la sua pretesa. Non si sottrae allo scandalo né lo attenua. Lo riafferma: «Sono io il pane della vita»; «Sono io il pane disceso dal cielo». Gesù ha tutti i contorni dell’uomo, e tuttavia è proprio in questo uomo che si è manifestato l’Assoluto, che qui e non altrove è apparso, che qui e non altrove va cercato. Non è il pane di Mosè che dà la vita: «I vostri padri mangiarono la manna nel deserto, eppure sono morti» (v. 49) e non è più in quella direzione che va cercato il Signore: «Nessuno ha mai visto il Padre tranne Colui che viene da Dio» (v. 46): il libro dell’Esodo racconta che Mosè chiese a Dio di vedere il suo volto, ma gli fu concesso soltanto di vedere il Signore di striscio, non faccia a faccia. Gesù invece contempla direttamente il volto del Padre. Gesù – e solo Gesù – è il «pane», cioè la rivelazione, la Parola e la sapienza di cui l’uomo ha fame. Più avanti si comprenderà che il pane è anche l’Eucaristia, ma ora – a questo punto del discorso – l’insistenza è sulla Parola. L’Antico Testamento è tutto percorso da un’ansiosa ricerca della Parola di Dio («non di solo pane vive l’uomo!» che rischiara il cammino della vita e ne rivela il senso. Nella tradizione giudaica la manna era divenuta il simbolo della Parola. E i giudei l’attendevano di nuovo in dono, abbondantemente. Il nostro passo evangelico afferma che proprio Gesù, il figlio del falegname, riassume in sé tutta questa attesa e la porta a compimento. Di fronte al rifiuto dei giudei Gesù non si limita denunciare l’incredulità, né si accontenta di indicarcene la ragione. Ci svela l’origine e le condizioni della fede. Il pensiero è tanto importante che Gesù lo ripete due volte: «Nessuno viene a me se il Padre non lo attira», «Chi ascolta il Padre e si lascia da lui istruire viene a me». L’origine della fede in Cristo è l’iniziativa del Padre (la fede è dono) e la condizione richiesta da parte dell’uomo è la docilità (ascoltare e lasciarsi istruire). Nessuno può far sorgere dentro di sé il movimento della fede senza la chiamata del Padre. (B. Maggioni, biblista)

 

Lettera del Direttore, avvisi e appuntamenti – settimana dal 30 luglio al 8 agosto

XVIII Domenica del Tempo Ordinario – Giovanni 6, 24-35

Dal vangelo  secondo Giovanni  6, 24-35

24Quando dunque la folla vide che Gesù non era più là e nemmeno i suoi discepoli, salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafarnao alla ricerca di Gesù. 25Lo trovarono di là dal mare e gli dissero: «Rabbì, quando sei venuto qua?».
26Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. 27Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo». 28Gli dissero allora: «Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?». 29Gesù rispose loro: «Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato».
30Allora gli dissero: «Quale segno tu compi perché vediamo e ti crediamo? Quale opera fai? 31I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: Diede loro da mangiare un pane dal cielo». 32Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: non è Mosè che vi ha dato il pane dal cielo, ma è il Padre mio che vi dà il pane dal cielo, quello vero. 33Infatti il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo». 34Allora gli dissero: «Signore, dacci sempre questo pane». 35Gesù rispose loro: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!»

 Gesù ha appena compiuto il “segno” al quale tiene di più, il pane condiviso, ed è poi quello più frainteso, il meno capito. La gente infatti lo cerca, lo raggiunge e vorrebbe accaparrarselo come garanzia contro ogni fame futura. Ma il Vangelo di Gesù non fornisce pane, bensì lievito mite e possente al cuore della storia, per farla scorrere verso l’alto, verso la vita indistruttibile. Davanti a loro Gesù annuncia la sua pretesa, assoluta: come ho saziato per un giorno la vostra fame, così posso colmare le profondità della vostra vita! E loro non ce la fanno a seguirlo.
Come loro anch’io, che sono creatura di terra, preferisco il pane, mi fa vivere, lo sento in bocca, lo gusto, lo inghiotto, è così concreto e immediato. Dio e l’eternità restano idee sfuggenti, vaghe, poco più che un fumo di parole. E non li giudico, quelli di Cafarnao, non mi sento superiore a loro: c’è così tanta fame sulla terra che per molti Dio non può che avere la forma di un pane. Inizia allora un’incomprensione di fondo, un dialogo su due piani diversi: Qual è l’opera di Dio? E Gesù risponde disegnando davanti a loro il volto amico di Dio: Come un tempo vi ha dato la manna, così oggi ancora Dio dà. Due parole semplicissime eppure chiave di volta della rivelazione biblica: nutrire la vita è l’opera di Dio. Dio non domanda, Dio dà. Non pretende, offre. Dio non esige nulla, dona tutto. Ma che cosa di preciso dà il Dio di Gesù? Niente fra le cose o i beni di consumo: «Egli non può dare nulla di meno di se stesso. Ma dandoci se stesso ci dà tutto» (Caterina da Siena).
Siamo davanti a uno dei vertici del Vangelo, a uno dei nomi più belli del Signore: Egli è, nella vita, datore di vita. Il dono di Dio è Dio che si dona. Uno dei nomi più belli di Gesù: Io sono il pane della vita. Dalle sue mani la vita fluisce illimitata e inarrestabile. Pietro lo confermerà poco più avanti: «Signore, da chi andremo? Tu solo hai parole che fanno viva la vita». Che danno vita a spirito, mente, cuore, agli occhi e alle mani. L’opera di Dio è una calda corrente d’amore che entra e fa fiorire le radici di ogni essere umano. Perché diventi, come Lui, nella vita donatore di vita. Questa è l’opera di Dio, credere. (E. Ronchi)

 

Domenica 1 agosto alle 10,30 S. Messa trasmessa su Telecupole

Su Telecupole domenica 1 agosto verrà trasmessa la Santa Messa delle 10,30

Estate Ragazzi e News

GERMOGLIO.

È con questa parola che vogliamo terminare la nostra esperienza di estate ragazzi. Anzi, ripartire. Perché germoglio è qualcosa che nasce, segno di vita nuova. All’estate ragazzi sono stati seminati tanti piccoli germogli in noi: tante esperienze, tante nuove amicizie, tanti insegnamenti. Ed ecco che quindi ora si riparte: adesso tocca a ciascuno di noi decidere di coltivarli.
E per fare crescere un semino c’è bisogno di luce, di pioggia, di cura e di tempo. E così anche per noi; il nostro cammino avrà bisogno di qualcuno che si prenda cura di noi. E le persone che lo hanno fatto in queste sei 6 settimane sono davvero molte. Ed è questo il momento per ringraziare tutti: i volontari che si sono occupati del triage, gli animatori che hanno seguito i gruppi, i don e gli educatori che hanno coordinato il tutto, Suor Bruna e le signore che hanno aiutato a mensa e nei gruppi, Gualtiero con il bar, l’Auxilium che ci ha guidato nei laboratori sportivi, il circolo don Bosco per aver condiviso gli spazi e i nostri vicini che hanno ballato con noi l’inno per 6 settimane.
Un grazie quindi a tutti con l’augurio che, come dice il nostro inno di quest’anno, le nostre vite possano essere davvero una “happy dance”!
Arrivederci alle settembriadi! Vi aspettiamo!